Il contributo affronta il tema del riuso del patrimonio architettonico pubblico attraverso due esperienze eloquenti tra loro intimamente connesse riguardanti il Complesso monumentale di San Michele a Ripa Grande a Roma e il Reale Albergo dei Poveri a Napoli. Entrambe le strutture segnano, per mole e qualità del linguaggio adoperato, il tessuto urbano circostante costituendo esempi imponenti di quelle architetture dell’illuminismo pensate e progettate per assolvere a funzioni pubbliche e sociali. Le vicende evolutive del Complesso di San Michele a Ripa Grande presentano aspetti che possono indurci a guardare al caso romano come a un possibile modello di riferimento in tema di reusing di un edificio pubblico restituito nel tempo a una sua rinnovata funzione sociale e formativa, in grado di promuovere attivamente lo sviluppo del territorio urbano circostante.
Il contributo ricostruisce la storia fondativa di due complessi ospedalieri destinati agli Incurabili, ripercorrendone le relazioni. Di fondamentale importanza per l’evoluzione dei sistemi sanitari e lo sviluppo urbano e territoriale delle rispettive città, l’Arciospedale di san Giacomo in Augusta a Roma e il complesso di santa Maria del Popolo degli Incurabili a Napoli furono caratterizzati in Età Moderna da una comune organizzazione e struttura dovute al ruolo esercitato dal notaio genovese Ettore Vernazza, fondatore della compagnia del Divino Amore, che ne coadiuvò e promosse le iniziative e da personalità del calibro di Gaetano da Thiene e Filippo Neri.
Attualmente dismessi e in condizioni fatiscenti, tali edifici testimoniano, per la qualità delle loro architetture e il ruolo assunto nei secoli, l’importanza e la centralità che i temi dell’accoglienza e della cura rivestirono sin dall’Età Moderna sollecitati dall’azione aggregante e solidale svolta dalle confraternite quali istituzioni caritatevoli in grado di contribuire attivamente al miglioramento della società e alla qualità e ai servizi degli spazi di vita quotidiani.
Il valore di una “mediazione” narrativa consapevole, integrata e potenziata dall’uso di strumenti digitali, diviene sempre più elemento centrale nelle politiche di valorizzazione e riconoscimento del patrimonio culturale dal momento che esso «non parla da solo» (2010: 45) ma ha bisogno di professionalità e strumenti informativi sempre più flessibili e aggiornati che lo disvelino e ne raccontino il significato più profondo. Il contributo affronta le nuove modalità di interazione e fruizione del patrimonio culturale tra discipline tecnologiche e scientifiche e discipline umanistiche.
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