In questo articolo si propone una riflessione geocritica sul cinema a partire da Black Dahlia di Brian De Palma (2006), attraversando la tradizione del film noir e considerando la particolare relazione di questo genere con spazi e geografie "reali". È affrontata nello specifico la questione della rappresentazione di Hollywood (e di Los Angeles) nei film (noir) hollywoodiani, allo scopo di verificare una differenza fondamentale, per quanto certo non l'unica, nella costruzione degli "spazi disturbanti" tra racconto cinematografico e racconto letterario. Mentre la geocritica letteraria solitamente ripete che simili spazi "interferenti" sono (de)costruiti seguendo strategie "eterotopiche", il caso del film noir mostra come il cinema-un locative medium del tutto singolare-possa semmai praticare più efficacemente l'opposta strategia "omotopica".