“…Vent'anni fa la situazione era opposta: nel 1991, per esempio, nell'introduzione alla seconda edizione del fortunato volume Realism and truth, il filosofo australiano Michael Devitt (1991, p. 2) riconosceva che in quegli anni l'antirealismo era assai più popolare e influente del realismo, per cui pure egli parteggiava. A sostegno di questa diagnosi, Devitt portava gli esempi dei maggiori filosofi di formazione analitica del periodo, i quali, per un verso o per l'altro, potevano tutti essere catalogati come avversari del realismo: Donald Davidson (1984Davidson ( e 2001, il cui programma filosofico ruotava intorno a una teoria dell'interpretazione 1 ; Bas van Fraassen (2002), fautore di una filosofia della scienza rigorosamente empiristica; Richard Rorty (1979), difensore di una concezione relativista e antirappresentazionalista; Nelson Goodman (1978), rigoroso nominalista e costruttivista; Michael Dummett (1993), strenuo difensore dell'antirealismo semantico; Thomas Kuhn (1962) e Paul Feyerabend (1975, celebri propugnatori del relativismo epistemologico; e Hilary Putnam (1981), il cui itinerario filosofico sfociò per qualche anno nel cosiddetto «realismo interno», che però era una forma di antirealismo 2 . E ciò, d'altra parte, non valeva solo nel campo della filosofia analitica, che era quello considerato da Devitt ma anche in quella continentale: e in proposito basterà pensare a quanto allora fossero avversi al realismo i maggiori campioni di quella tradizione di pensiero: Derrida e Baudrillard, Lacan e Gadamer, Foucalt e Latour, Lyotard e Vattimo.…”