Nel paper si analizzerà il professionista della cura come un attore sociale che agisce all'interno del Terzo settore. L'attore occupa uno spazio di riproduzione sociale storicizzato da rapporti di forza, alleanze di status, conflitti di ruolo ed economie di scala, in un campo di trasformazioni sociali. In tale spazio, pratiche e retoriche sono da mettere in relazione alla più complessa questione antropolo-gica del dono. Nel testo si proverà a definire qualitativamente il grado di irriflessività/riflessività nella professione di cura (di per sé soggetto relazionale) come dialettica della vulnerabilità tra il richiedente cura e l'operatore sociale. Come già scritto da Pierre Bourdieu rispetto alla formazione dell'habitus, l'agente sociale risulta essere l'effetto di una complessa combinazione di capitali (economici, culturali e relazionali) in un campo economico. Nel nostro caso, egli è oggetto di habitus ma anche di un apriori giuridico definito come Politique de la Ville. La sintetica espressione indica, anche nel caso italiano, una forma di sovranità statuale, geograficamente localizzata, generata della riscrittura del Titolo V nella Costituzione italiana (2001) e dell'elaborazione della Legge 328/2000. Nel testo si proverà a spiegare che entrambi i dispositivi, oltre a con-tribuire alla fine dei Trente Glorieuses, partecipano al diverso funzionamento dello Stato sociale, ma anche alla diversa definizione professionale dell'operatore. Il soggetto/oggetto di tale traiettoria professionale agisce ed è agito dalla norma, all'interno di un processo non lineare e asimmetrico. Un pro-cesso che non gli assicura un posizionamento sociale solido. Metodologicamente, la figura dell'operatore sarà indagata come esito di una traiettoria biografica ordinata da uno status vulnerabile correlato a polisemici ruoli di dipendenza e creatività. .