The basic assumption of this essay is that European integration has represented, in a substantial part, a response to the dynamics and conflicts unleashed by capitalist development and an instrument of social stabilization. The aim is to show how the integration has been shaped by (and has contributed to) the transformations undergone by capitalism over the decades, linking the history of European integration to the different stages of inter-capitalist competition and to the dynamics of social conflict. In doing so, the article traces the history of European integration, from the early XXth century to the most recent developments, showing how the European institutions developed from the 1950s «external buttress of the welfare state» to being one of the prime driver of neoliberal globalization.Nel settembre 1988 il presidente della Commissione europea, Jacques Delors, tenne uno storico discorso al congresso annuale dei sindacati britannici. L'ex sindacalista, socialista di ispirazione cristiana, nonché tra gli artefici della svolta neoliberista in Francia, era venuto a presentare il progetto di nuova Europa contenuto nell'Atto Unico firmato dai 12 Stati membri della CEE due anni prima. Secondo Delors approfondire l'integrazione europea costituiva la miglior difesa del modello di società proprio del vecchio continente, un modello caratterizzato da «meccanismi di solidarietà sociale, di protezione dei più deboli, di contrattazione collettiva» 1 . La creazione di un grande mercato integrato che incoraggiasse la «cooperazione come la competizione […], l'iniziativa individuale come la solidarietà» era la miglior garanzia per la sopravvivenza di quel modello di fronte alle sfide della modernità.Due decenni e mezzo dopo, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, alla domanda del Wall Street Journal circa i destini del fantomatico modello sociale europeo, così rispondeva: «The European social model has already gone» 2 .A riprova della fine del modello sociale europeo, Draghi citava i livelli disoccupazione giovanile prevalenti in alcuni Paesi del vecchio continente. Per rimediare urgevano riforme dei «mercati dei prodotti e dei sevizi» e del «mercato del lavoro». La necessità di unione e di riforme per combattere la disoccupazione era stata anche al centro del discorso di Delors di venticinque anni prima. Il tempo quindi non era bastato a curare la piaga che affliggeva le società europee. Anzi, essa si era aggravata. Ciò getta qualche dubbio sulla validità delle riforme che, da Delors a Draghi, le classi dirigenti europee e nazionali per decenni avevano sostenuto e messo in pratica come cura del malessere economico europeo. Riforme imperniate sulla convinzione che il mercato e il privato, sgravati da lacci e lacciuoli, fossero i soli a poter garantire una reale crescita del benessere. Perciò: deregolamentazione, privatizzazione, flessibilità del lavoro. Ma il quadro si fa ancora più indecifrabile considerando che la situazione disastrosa dell'occupazione, giovanile e in generale, nell'Europa di inizio XXI ...