IntroduzioneLa psoriasi, della quale soffrono circa 1.500.000 persone nel nostro Paese (corrispondenti a una prevalenza del 2,8%), è tradizionalmente considerata una malattia infiammatoria della cute, nonostante il dimostrato coinvolgimento sistemico possa determinare un ampio ventaglio di comorbilità a carico di altri organi/apparati [1,2]. La forma più frequente è la psoriasi a placche (80-90% dei casi), caratterizzata dalla comparsa di placche eritemato-squamose localizzate su cuoio capelluto, tronco e arti, spesso associate a prurito, dolore e secchezza della cute, che può arrivare a lacerarsi e a sanguinare [1,3]. La psoriasi guttata, la psoriasi eritrodermica e la psoriasi pustolosa costituiscono delle varianti della malattia distinte per morfologia e andamento. Nel 33% circa dei pazienti psoriasici si osservano alterazioni distrofiche delle unghie [1]. Inoltre, nel 20-30% circa dei casi, generalmente alcuni anni dopo l'insorgenza delle lesioni cutanee, si hanno manifestazioni articolari diagnosticabili come artrite psoriasica, una malattia spesso trascurata e/o sottodiagnosticata [4][5][6]. La psoriasi può insorgere a ogni età, ma ci sono due picchi di presentazione, il primo tra i 15 e i 20 anni e il secondo tra i 55 e i 60 [7]. Il suo andamento è cronico-recidivante: i pazienti -che non raggiungono mai la guarigione -sperimentano periodi nei quali la malattia è meno evidente alternati a periodi di riacutizzazione [7]. Nella patogenesi della psoriasi, non ancora completamente chiarita, si riconosce una complessa base genetica sulla quale intervengono vari fattori ambientali tra cui l'impiego di farmaci, i traumi cutanei, le infezioni e lo stress. Inoltre, crescenti evidenze indicano il coinvolgimento di meccanismi immunologici, con la risoluzione della psoriasi associata a Patient engagement in clinical trial input. La valutazione del trattamento della psoriasi dal punto di vista del paziente