SEGNALAZIONI-SIGNALEMENTEN-NOTES Rivoluzioni visuali, in forma di cosa: cronaca di un evento (in)tempestivo A fare un bilancio del simposio recentemente dedicato dall'Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles a concretismo e visualità poetica tra Italia e Belgio negli anni Sessanta e Settanta, due sembrano essere le principali direttrici di un discorso internazionale tanto urgente quanto rischioso (perché, negli anni, abusato e frainteso, in ambito sia critico che museale): quelle della rivoluzione e della (in)tempestività. Per chi avesse direttamente partecipato del fervido clima di collaborazione e ricerca tra artisti, studiosi e curatori che per due giorni hanno animato l'elegante sede culturale di Rue de Livourne diretta da Paolo Grossi − improvvisando performance, (de)costruendo paradigmi interpretativi, o innescando accessi dibattiti tra connaisseurs − il convergere dell'incontro sul carattere trasformativo e radicale della ribellione e di una condizione ancipite di temporalità non sorprenderà certo. Tempestiva e intempestiva insieme, infatti, è stata la poesia visuale del Novecento: emersa, in tutta la sua carica 'obsoleta' − à la Agnetti, di cui Andrea Cortellessa ha rintracciato le dirompenti forme di descrittura nel suo affascinante contributo − come qualcosa di sempre violentemente moderno, senza storia, eppure in fondo antico, radicato nel passato dell'immagine e della parola; di puntuale, necessario ad esprimere l'inesprimibile (coincida esso con l'inattingibile realtà, coi meandri del pensiero, con l'io e il suo rapporto con l'altro da sé), e tuttavia inevitabilmente prematuro, destinato a sollecitare la sensibilità di un'umanità futura, tutta da immaginare. Una poesia profondamente intermediale, in cui Adriano Spatola − 'protagonista della situazione poetica in Italia e della condizione stessa della poesia, in cui egli prodigò l'intensità della sua passione e l'accanimento del suo sperimentalismo' 1 − ravvisava 'un'aspirazione utopistica al ritorno alle origini': 2 un'utopia, o una 'de-utopia' (per dirla ancora con Vincenzo Agnetti: perché ibrida, per nulla ideale, radicata nella materia), costantemente in divenire e sempre intrinsecamente contro − contro l'ovvio e le distinzioni manichee che soffocano la complessa natura delle cose. La rivoluzione è stata, non a caso − ben al di là del fortunato coincidere del simposio con il ricorrere dei cinquant'anni dal 1968, cuore spazio-temporale dell'indagato cronotopo della neoavanguardia europea − altro fil rouge delle relazioni intrecciate tra Belgio e Italia nel secondo dopoguerra, che l'evento si è provato a ricostruire. Di spunti rivoluzionari si sono scoperte infatti pullulare le opere visuali e concrete degli artisti rievocati nel corso del convegno, tra i quali ad esempio Paul De Vree, di cui il nipote Jan ha menzionato, in apertura dei lavori, proprio Revolutie (1968): una composizione circolare in cui la rivoluzione è visualizzata attraverso il taglio, la dislocazione e il movimento dei caratteri tipografici, a espressione di un fermento concettu...