The author deals with the ethical problems arising from the techniques of prenatal diagnosis and fetal therapy. With regard to the use of prenatal diagnostic response, he underlines the frequent connection between the unfortunate response and the voluntary termination of pregnancy; with regard to this, he reports the various positions which can be found in the literature on ethics. In the light of Catholic ethics, the author affirms that prenatal diagnosis is only acceptable when it respects the life and integrity of the embryo and the human fetus and is directed towards its safeguarding or healing. The moment and form of the communication of the response is also considered. Finally, some guidelines to justify conditions for fetal therapy intervention are pointed out.
L’articolo analizza, nella prospettiva filosofica, i percorsi intrapresi dalla bioetica in rapporto al pluralismo culturale, discutendo criticamente i principali orientamenti di pensiero del dibattito attuale. Il punto di partenza è l’imperialismo culturale, quale posizione etnocentrica che assolutizza la cultura (ritenuta, in modo unilaterale, la migliore) marginalizzando le altre. L’orientamento opposto è quello del relativismo culturale che considera la bioetica il prodotto storico-sociale della cultura di appartenenza, proponendo il principio di tolleranza inteso nel senso di sopportazione pragmatica di ogni cultura, ritenuta equivalente rispetto a qualsiasi altra. Alla luce delle incongruenze dell’imperialismo culturale (che finisce con imporre arbitrariamente la propria come la cultura dominante) e del relativismo culturale (che accettando acriticamente ogni cultura non evita anzi acuisce i conflitti e porta alla separazione delle culture), l’articolo cerca le linee argomentative per giustificare una prospettiva bioetica trans-culturale (nell’orizzonte dei diritti umani fondamentali) che consenta il dialogo interculturale in bioetica come ricerca costruttiva dell’integrazione tra le culture nella ricerca della verità comune nel riconoscimento della dignità umana. ---------- The article analyses, in a philosophical perspective, the bioethical theories as regards cultural pluralism, discussing in a critical way the must important trends of actual debate. It identifies cultural imperialism as the ethnocentrical perspective which makes one culture as absolute (considered the best one), marginalizing the other cultures. As opposite trend, the articles discusses cultural relativism which considers bioethics as an historical and social product of a culture, emphasizing tolerance as a pragmatic principle of acceptance of every culture, without condition. In the light of the objections to imperialism (which impose in an arbitrary way one culture as the best one) and cultural relativism (which accepts any culture without condition with conflicts and separation of cultures as consequences) the article looks for arguments able to justify a transcultural bioethics (in the perspective of fundamental human rights) which permits intercultural dialogue in bioethics as a constructive research of integration of cultures in search of a common truth recognized in respect of human dignity.
Esiste un legame tra la riflessione sulla bioetica e quella sui diritti umani? Lo scritto muove da questo interrogativo per giungere dopo un’articolata analisi alla conclusione che il limpido e chiaro riconoscimento della dignità e del conseguente diritto alla vita di ogni essere umano a partire dalla fecondazione costituisce terreno e presupposto comune delle due discipline e, allo stesso tempo, è ciò che consente loro di non navigare verso le derive individualistiche dell’utilitarismo e del relativismo etico. L’analisi del rapporto fra diritti umani e bioetica parte da un dato storico e cioè dalla svolta che il processo di Norimberga e la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo hanno impresso nel cammino dell’umanità. Questa nuova tappa accompagna gli albori del “filone giuridico-normativo della bioetica” che nel corso degli anni assumerà sempre maggior consistenza, tanto da sfociare in un autonomo campo di riflessione noto sotto il nome di “biodiritto” o “biogiuridica”. A riguardo l’articolo presenta una disamina ricognitiva (non esente da osservazioni di tipo valutativo) dei principali documenti giuridici nazionali e internazionali che si occupano di “questioni di bioetica”. Dal ricco affresco di questi emerge da un lato la constatazione di un rapporto che esprime la necessità di un’integrazione fra diritti umani e bioetica, dall’altro l’urgenza di dare un solido ed autentico fondamento agli uni e all’altra. È questa una problematica di cruciale importanza, perché sia i diritti umani che la bioetica risentono di una crisi metafisica tanto più evidente e acuta quanto più ci si avvicina ai momenti di maggiore precarietà e debolezza dell’esistenza umana, nei quali la vita umana “è”, semplicemente “è”. In questo senso, l’embrione umano è l’emblema di ogni povertà ed emarginazione. La via d’uscita dalla “crisi” e dunque la ricerca del fondamento - sia per i diritti umani che per la bioetica - va trovata all luce della dignità umana, sempre presente con la stessa forza e intensità in tutti e in ciascuno, da rispettare e promuovere in primo luogo nel rispetto e nella promozione del diritto ad esistere che della dignità è la prima manifestazione, la più immediata concretizzazione.
La Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo del 1948 dell’ ONU ha posto in termini politici, e non soltanto filosofici o religiosi, al centro stesso della logica della cittadinanza l’affermazione della dignità umana e della libertà come qualità innate e non acquisite. Affermare che tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità significa affermare di fatto che la dignità è un attributo ontologico, una qualità intrinseca (e quindi inalienabile) dell’essere umano, al di là di differenze di sesso, di salute, di stato sociale. L’uso della nozione di persona come sinonimo delle qualità dell’adulto rischia di frantumare questo guadagno della politica. La biopolitica liberale rischia di essere fonte di discriminazioni tra gli uomini quando adotta un concetto di persona distinto da quello di essere umano. In essa rivive il dualismo antropologico proprio del platonismo. Le tesi di Hannah Arendt, di Eva Kittay e di Martha Nussabaum ci permettono di evidenziare i caratteri della persona umana sia come soggetto sia come essere corporeo diveniente nel tempo, secondo quell’intuizione che fu propria di Tommaso d’Aquino. Se si torna a pensare alla persona umana come essere umano diveniente nel tempo, è possibile salvaguardare i diritti di tutti e in particolare difendere quelle fasi della vita umana in cui la persona umana è esposta, per le fasi dello sviluppo o per la malattia, alla dipendenza. Solo così si può pensare ad una giustizia che includa tutti e tutte le fasi dell’esistenza, anche quelle segnate dalla disabilità. ---------- The United Nations Universal declaration of human rights (1948) has centred the assertion of human dignity and freedom as innate (not acquired) qualities in the logic of citizenship itself; this claim has been made not only in philosophical and religious terms, but also in political terms. Affirming that all men born free and equal for what concerns their dignity means to affirm actually that dignity is an ontological attribute, an intrinsic quality (and therefore inalienable) of the human being, beyond sex, health and social standing differences. The use of the notion of person as synonym of the qualities of adult risks to crush this gain of politics. The liberal biopolitics risks to be a source of discriminations among men when it adopts a concept of person different from that of human being. According to this view, the anthropological dualism peculiar to the Platonism lives again. Hannah Arendt, Evas Kittay and Martha Nussabaum’s thesis allow us to underline the human person characteristics as both subject and bodily being, according to the Thomas Aquinas’ intuition. If we think again human person as human being, it is possible to safeguard the everybody rights and particularly to defend those phases of human life in which human person is exposed, for the phases of the development or for the illness, to the dependence. Only in this way justice could be thought including all and all the phases of the existence, also those marked by disability.
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