<p><strong>Abstract.</strong> The present article aims to consider the added value attached to the usage of new technologies in a project aimed to study heritage. Indeed, multimedia devices could be used to create representations useful to develop and disseminate information integrating the architectural and territorial framework and to reach a general understanding.</p><p>The processed data come from a research project, based on an interdisciplinary approach, address to the study of medieval buildings in Armenia, Vayots Dzor region, with the aim of studying and understanding the cultural heritage.</p><p>Three different technologies are used to visualize and disseminate the results of the analyses carried out: the video, the hologram, and the virtual reality. These digital visualization methods enable experts to make the topics investigated accessible and comprehensible to a wider general public with a didactic and informative aim.</p><p>The solid 3D-model of the site allows to virtually reproduce the reality and to provide a spatial perception of the site. Indeed, it is a neutral base, represents the morphological conformation and settlements, a landscape whose reference points are easily identified with the historical architectures, helping the public and spectators to get oriented inside the territory. These methods of representation allow to move from general view to particular, or to a different frame appropriate to the addressed topic. Thus, it binds the scientific research with the visual part, and enable communication, even in a context where it is difficult to use a common spoken or written language.</p>
Come molti colleghi, negli anni scorsi anche io avevo creduto e promosso le riforme ordinamentali, sì da costruire un percorso formativo più adeguato alle necessità contemporanee della figura dell'architetto. E reso forte dall'illusione di poter gestire un inedito potere, ascoltavo scettico i consigli dei più anziani, che garbatamente mi segnalavano -proprio per la loro analoga e precedente esperienzal'attesa inefficacia di quel genere di azioni di riforma. Se non è per ragioni anagrafiche, cioè per essere entrato ormai a far parte degli anziani, vorrei dire che l'esperienza degli ultimi dieci anni e più di riforme dimostra ampiamente che erano profetiche quelle parole di sfiducia, che mi toccava ascoltare nel momento in cui invece proponevo cambiamenti che mi sembravano epocali (geometrie di percorsi formativi, intensificazione di relazioni interdisciplinari, declaratorie di contenuti ecc.).Aggiungerei che oggi mi sembra stucchevole e certamente attardata anche la querelle fra il 3 + 2 e il ciclo unico, quest'ultimo strenuamente difeso dai compositivi della mia sede -e di altre -come ultima frontiera della qualità. Si tratta invero di due percorsi formativi dai contenuti pressoché identici e sono molto scettico su qualsiasi ipotesi di loro trasformazione, perché il vero problema mi pare che non stia negli ordinamenti. Inoltre per entrambi l'accesso è solo illusoriamente governato, perché i numeri sono storicamente in folle eccedenza rispetto alle capacità di assorbimento del mercato, con sovraccarico per le risorse didattiche e minor capacità di trasmissione disciplinare, esubero di architetti in uscita che aggrava lo spreco nella selezione delle professionalità e nella valorizzazione delle competenze di un sistema di acquisizione del lavoro che, prima di essere in crisi, è complessivamente sbagliato.Mi sembra dunque che, indipendentemente dall'ingegneria ordinamentale e dopo mesi e mesi persi nel vano sforzo di migliorare gli statuti dei singoli corsi, l'unica vera qualità che siamo stati in grado di infondere negli studenti, l'unica risorsa cui davvero potranno ricorrere deriva da un attento e rigoroso esercizio del progetto da parte di noi docenti, dalla sua onesta trasmissione ai giovani allievi e dalla metodica di laboratorio. L'esercizio del progetto da parte dei docenti -e la sua elaborazione teorica e trasmissione didattica -mi sembra il cuore del problema, in un quadro in cui il progetto per vari motivi è poco praticato e i ruoli accademici si vanno riempiendo non già di architetti, ma di letterati di architettura.Quando i nuovi laureati si confrontano con la rarefazione delle occasioni professionali, col moltiplicarsi dei saperi tecnici, quando saranno disorientati per i nuovi strumenti di disegno e di visualizzazione, quando saranno stretti nei risparmi di budget o nell'asfissia burocratica, probabilmente posti nella necessità di emigrare e confrontarsi con culture molto diverse, a fronte di tutto questo, l'unico solido presidio disciplinare su cui potranno fondare la propria azione rimarrà non tanto ...
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