A previous version of this paper was prepared for a Workshop onCrisis, Stagnation and the Macroeconomy held in the University of Cassino, April 21 st , 2016. I am grateful to the staff at Fondazione "Luigi Einaudi" (Turin) for research assistance, to Terenzio Cozzi, Steve Fazzari and Giorgio Lunghini for having addressed me to the study of deflation and to Anna Simonazzi, Jan Toporowski, Gennaro Zezza and to the anonymous referees for all the helpful comments and suggestions on this topic. The usual disclaimers apply. This article is dedicated to the memory of Gian Luigi Vaccarino.
JEL: B2, B32 " Then we have the great paradox which, I submit, is the chief secret of most, if not all, great depressions: The more the debtors pay, the more they owe". (I. Fisher, 1933, pag. 344) IntroduzioneSettant'anni fa, al culmine della Grande Crisi, Irving Fisher pubblica The Debt Deflation Theory of Great Depressions (1933) a complemento del suo lavoro precedente Booms and Depressions (1932) e nel tentativo di dare una spiegazione agli eventi drammatici di quegli anni. La comunità scientifica non accolse allora con molto favore la teoria delle deflazione da debiti (cfr. King, 1994) e, solo molto più tardi, grazie soprattutto alla cosiddetta debt deflation school (cfr. Minsky 1975, 1982 e Kindleberger 1978, l'analisi di Fisher ha riacquistato la giusta rilevanza.In tempi più recenti, diversi contributi (cfr. Bernanke-Gertler, 1990;Caskey-Fazzari, 1989Mishkin, 1991) hanno considerato gli effetti che una caduta nel livello dei prezzi possono avere sul reddito e sulla occupazione aprendo, in questo modo, un nuovo e stimolante filone di ricerca che si collega proprio all'impostazione di Fisher.Le crisi economiche che hanno colpito il Giappone, il Sud-est asiatico e diversi altri paesi emergenti negli ultimi anni 1 e i timori di possibili effetti deflazionistici su scala globale (cfr. The Economist, 2002;Wray, 2003;Rogoff, 2003) hanno poi riaperto il dibattito, sia teorico che empirico, sulle cause e sui possibili rimedi a questi fenomeni. Paul Krugman (1999), per esempio, ha denunciato l'inadeguatezza dei tradizionali modelli di crisi finanziarie e valutarie 2 1 A tale proposito si può ricordare il Messico (1995), la Russia (1998), l'Argentina (2001. 2 Una "prima generazione" di modelli (cfr. Krugman, 1979; Flood e Garber, 1984) considera le politiche di bilancio eccessivamente espansive le quali condurrebbero inevitabilmente alla necessità di una monetizzazione del debito, incompatibile con il mantenimento di un tasso di cambio fisso. Ne deriverebbe una crisi finanziaria provocata dallo squilibrio nella bilancia dei pagamenti ed un attacco speculativo non appena le riserve valutarie scendono al disotto di un livello ritenuto "critico". Quanto ai modelli di "seconda generazione" (cfr. Obstfeld, 1986), essi 3 per spiegare ciò che è accaduto nei paesi asiatici, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti legati alla persistenza nella caduta delle variabili reali (produzione e investimento), ai fenomeni di contagio (che hanno prodotto reazioni a catena) e di propagazione a livello globale.Tenendo conto di queste osservazioni, questo lavoro si ripropone un duplice obiettivo: 1) riprendere la teoria della deflazione da debiti e collegarla agli sviluppi successivi proposti dalla debt deflation school; 2) espandere, in economia aperta, l'approccio originario di Fisher, in modo che si possa tener conto degli effetti che la progressiva integrazione dei mercati finanziari ha prodotto in termini di fragilità ed instabilità finanziaria a livello globale.Il lavoro è così articolato: nel par. 2 si riprende criticamen...
Abstract:In this paper I try to contrast the Efficient Markets Hypothesis (EMH) with the Financial Instability Hypothesis (FIH) held by Hyman Minsky taking into account the dynamic complexity of financial markets and the role of fundamental uncertainty and organic interdependence. In my opinion this approach may provide indeed analytical tools to explain crisis through processes endogenous to contemporary economics. The relevance of complex dynamic has been particularly stressed recently by Barkley Rosser (2004;; this author consider indeed complex dynamic a strong foundation for Keynesian models and results. Complex dynamics enter indeed into the analysis in at least two ways: it provides an independent source of fundamental uncertainty and this one, as discuss by Keynes himself (1936, 1937), can lead to speculative bubbles in assets markets and to over-reactions both in lender's and borrower's attitude toward risk. These aspects can lead to financial fragility and instability and follow a variety of complex dynamics. As I shall try to argue a financially complex system, according to the FIH, is indeed inherently flawed: in absence of adequate economic policy, booms and busts phenomena in financial markets fuelled by credit booms and busts, may generate endogenous instability and systemic crisis like the one occurred for the so-called "sub-prime crisis".
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