La presenza animale, protagonista di molte pagine della letteratura novecentesca, ricopre un ruolo centrale non solo nella biografia, ma anche nelle opere di Elsa Morante, ponendosi come tratto distintivo tanto della sua produzione poetica quanto di quella narrativa. È noto, infatti, che la scrittrice provasse un amore smisurato per i felini e che la presenza animale condizionasse la sua esistenza, tanto che da molti amici o conoscenti è sempre ricordata in compagnia dei suoi gatti. Sergio Saviane, ad esempio, sostiene che la scrittrice trascorresse gran parte della sua vita "tra due appartamenti (quello in via dell'Oca e quello in via Archimede), tra dischi di Mozart, Pergolesi, e gatti siamesi e persiani"; 1 Luca Fontana riporta gli appuntamenti di Elsa "gattara" e le sue passeggiate notturne per le vie di Roma, munita di cibo a sufficienza, con un solo scopo: nutrire il maggior numero possibile di gatti della capitale. 2 Inoltre, Giovanni Russo conferma il legame della scrittrice con i siamesi, rievocando la consuetudine di Morante di regalare gatti ad amici affinché se ne prendessero cura: Elsa aveva dei gatti siamesi, che continuava a seguire anche dopo averli regalati a persone fidate. Dei maschi si disinteressava, mentre delle femmine cercava notizie, delle loro figliate e del loro destino. I gatti portavano il nome che gli aveva attribuito lei, ma ne avevano anche uno segreto che non sempre rivelava ai suoi proprietari: la gatta Rossella, di cui parla in un capitolo de La Storia, aveva quello segreto di Russia. Quando venne ricoverata in ospedale, la sorella le portava un gatto nascosto sotto il cappotto: il poterlo accarezzare l'aiutò a vivere. «Io-mi dice Francone (Giuseppe)-ho avuto da Elsa il gatto Pincio, suscitando la gelosia di Giulio Einaudi che lo voleva lui, ma evidentemente ero stato giudicato più affidabile. 3 Al di là del personale attaccamento della scrittrice ai felini e agli animali in generale, risulta particolarmente significativo rinvenire che Morante conceda a queste figure dignità letteraria e li consacri, in più occasioni, protagonisti delle sue opere, come ad esempio avviene per le liriche contenute in Alibi (1958). In "Minna la