This paper is devoted to wall painting in the Middle Ages (ca. late fifth to early fifteenth centuries), with a focus on twelfth to fifteenth century Italy. It is conceived as a critical conflation of diverse methodologies, approaches and research tools, with the aim of investigating the topic from different and complementary perspectives. Historical textual sources provide the interpretive framework for the examination, which is conducted on specific, yet interrelated aspects. Special attention is paid to technical features, including the methods and materials used to produce wall paintings. Data from scientific investigations are incorporated into the discussion with the purpose of elucidating theoretical conceptualizations with material pieces of evidence. A number of selected case studies is presented within the text in order to keep the focus of analysis on the materiality of the paintings, hence avoiding the formulation of abstract concepts in favour of more pragmatic approaches.
Nel 1382 Cosmato Gentili, legato pontificio in Inghilterra, otteneva una licenza per esportare a Roma tre sculture in alabastro, in partenza dal porto di Southampton. Si tratta della prima notizia documentaria che attesta il commercio e l’importazione di opere inglesi in alabastro in Italia. Sebbene rimangano poche attestazioni archivistiche, la diffusione di tali opere nella penisola è testimoniata dall’alto numero di esemplari superstiti, oltre 40, sparsi in varie regioni e soprattutto in corrispondenza delle zone costiere. L’articolo presenta una approfondita analisi di alcuni dei pezzi più rappresentativi e delle loro vicende storiche. Alcune sculture inedite sono qui pubblicate per la prima volta, mentre altre, poco conosciute, trovano in questa sede nuova attenzione. Inoltre, alcuni rilievi ora isolati vengono idealmente ricomposti con altri esemplari che con essi componevano, in origine, un’unica pala d’altare
L’articolo è dedicato al monumento funebre del beato Pacifico, collocato nel transetto destro della basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia e commissionato da Scipione Bon attorno al 1437. L’opera, impresa congiunta di Zanino di Pietro e di Nanni di Bartolo, è analizzata dal punto di vista stilistico e tipologico, ed è inoltre posta in relazione alle istanze dell’ordine francescano da un lato, e del suo committente dall’altro
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