In this article, I track shifting paradigms of refugee management in Italy in times of austerity and welfare state restructuring. Drawing on an ethnographic analysis of asylum-related bureaucratic work in Bologna, the essay explores paradoxical and violent effects of welfare decline both on reception workers’ labor conditions and on the dynamic of aid that they end up providing to asylum seekers. On the one hand, recent developments in asylum management in Italy suggest a transition to post-compassionate forms of aid, hinged more on the making of dutiful subjects ready to repay the “hospitality” offered by the state than on the moral imperative to rescue suffering bodies and lives. On the other hand, reception workers’ precarious positioning and unrest hold the potential for exposing the inherent contradictions of state-based narratives, thereby shaping alternative discourses on the causes and responsibilities of both refugee and economic “crises.”
Abstract
Questo articolo ricostruisce l’emergere di nuovi paradigmi di gestione dei rifugiati in Italia, in tempi di austerità e ristrutturazione dei sistemi di welfare. Prendendo spunto dall’analisi etnografica di un ufficio di supporto per l’asilo a Bologna, l’articolo esplora effetti violenti e paradossali dello smantellamento del welfare pubblico, sia sulle condizioni di lavoro degli operatori dell’accoglienza, che sulle dinamiche di aiuto a richiedenti asilo che essi finiscono col contribuire a produrre. Le recenti trasformazioni nella gestione dell’asilo in Italia suggeriscono uno slittamento verso forme di aiuto post-compassionevoli, incentrate più sulla costruzione di soggetti attivamente impegnati nel ricompensare “l’ospitalità” offerta dallo stato, che sull’imperativo morale di salvare corpi e vite sofferenti. Al tempo stesso, la precarietà e il dissenso dei lavoratori dell’accoglienza sono potenzialmente in grado di illuminare alcune delle contraddizioni intrinseche alle narrazioni statali, elaborando così discorsi alternativi sulle cause e responsabilità della “crisi”, sia migratoria che economica.