Si è più volte associata la nascita del cinema alla diffusione dell'imperialismo e del colonialismo occidentale in Africa: in particolare Maria Coletti, in un articolo intitolato suggestivamente Fantasmi d'oltremare (consultabile on-line sul numero sette del periodico Cinemafrica), faceva riferimento al caso specifico italiano, dove la macchina da presa sembrava 'riprendere' le stesse terre di cui, dal punto di vista militare, lo stato italiano si stava appropriando. La reificazione dell'Africa avanzava in tal caso verso un binario duplice, ma in un certo senso parallelo: lo sguardo occidentale, penetrante e invasivo, aveva come obiettivo l'annullamento dell'alterità o, nei casi meno efferati, la riduzione dell'altro all'interno di parametri accettabili e comprensibili per la propria cultura.Questo lungo preambolo ha giusto la funzione di sottolineare l'importanza quanto la necessità del volume curato da Sandra Ponzanesi, professore di Gender Studies all'Università di Utrecht, e Marguerite Waller, professore di English e Women's Studies alla University of California. Il loro lavoro ha infatti il merito di mettere a fuoco alcune questioni critiche sulle relazioni fra le teorie postcoloniali e l'arte cinematografica. Un libro − altro merito essenziale del volume − che si presta a letture e usi differenti: è certamente un manuale generale sul 'postcolonial cinema', ma può anche essere utilizzato per approfondire argomenti specifici quali la produzione di Nollywood (oggetto del saggio di Claudia Offmann, pp. 218-232) o il cinema coloniale italiano riferito alla colonizzazione libica (come nell'articolo di Ruth Ben-Ghiat, che nella sua precisione e essenzialità colma finalmente un vuoto negli studi critici di settore, pp. 20-31); è inoltre un libro teorico, nel senso che alle teorie ormai 'classiche' riferite al cinema (dal Lacan ripreso da Christian Metz fino a Laura Mulvey e a Deleuze), vengono associati gli spunti teorici tratti dai cultural studies (Hall riecheggia più volte sotto forme e in saggi differenti) e soprattutto dei postcolonial studies (attraverso una gamma di autori che passa dai classici, anche qui, Bhabha, Said e Spivak, fino ad attraversare Glissant e la 'creolitude' e il pensiero di bell hooks e Fanon). Non va dimenticato, infine, l'apporto del postmoderno, grazie ai frequenti ricorsi a Augé, Agamben e Derrida. Il risultato è un approccio fervido, multidisciplinare, che crea da una parte un paradigma critico per analizzare il cinema postcoloniale − definizione che, come scrivono le curatrici
An entrenched Western philosophical will to mastery habitually codes irreducible differences as obstacles to truth and to political action. Instead, I argue that these differences are our most valuable resource, crucial nodes of potential dialogue, epistemological transformation, and effective political action. Philosophically and historically implicated in the racist, sexist, classist episteme they are also trying to challenge, U.S. academic feminists, among other critics of empire, need themselves to be challenged on the most fundamental levels, a process which cannot be undertaken unilaterally. Noncolonizing, nonhierarchical dialogue both requires and enables such a transformation.
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