A combined supra- infrasellar approach for the resection of very large pituitary tumors is described. We think that it is superior to either the transsphenoidal or the intracranial approaches to these difficult tumors.
22tazione precisa delle dimensioni della superficie articolare del frammento, mentre la sezione assiale o la ricostruzione 3D permette di valutare la dislocazione mediale o inferiore del frammento. Nella classificazione di Goss le fratture del bordo glenoideo possono essere anteriori (Tipo Ia) o posteriori (Tipo Ib) e i criteri generali dell'indicazione a intervento sono una clinica positiva per instabilità gleno-omerale oppure un distacco riguardante più di un quarto del diametro antero-posteriore della cavità glenoidea nelle fratture di Tipo Ia anteriori e un terzo in quelle di Tipo 1b posteriori e uno spostamento lineare del frammento di frattura che, dalle prime osservazioni fino a Goss, è stato considerato significativo se eguale o superiore a 10 mm. Comunque, come in tutte le indicazioni basate su parametri lineari o angolari, esclusi i casi di maggior scomposizione, al momento di scegliere il trattamento insorgono spesso dubbi sulla opportunità di una sintesi e riduzione chirurgica. Nella nostra esperienza, dalle osservazioni in 24 pazienti operati, spostamenti lineari superiori a 10 mm significano che l'anello del cercine glenoideo è interrotto e quindi anche l'apparato capsulo-legamentoso ha subito una lacerazione e il rischio di instabilità è maggiore. Le dislocazioni che mantengono il frammento sullo stesso piano della glena sono più tollerabili di quelle con "decalage" mediale del frammento. Se il frammento mantiene una superficie articolare poco decalata medialmente rispetto al piano della superficie glenoidea, la consolidazione porta a un allargamento della glena e quindi a un minore rischio di instabilità. Spesso invece il frammento ha subito una rotazione con la superficie articolare rivolta verso il centro della glena, ma non ha spostamenti lineari importanti. In tal caso l'anello del cercine glenoideo è solitamente intatto e, se la rotazione presenta ancora la superficie cartilaginea contrapposta alla testa omerale, si può proporre un trattamento conservativo. Se il frammento è completamente ruotato e la frattura è fresca, un accesso artroscopico può ridurre la rotazione e permettere una sintesi artroscopica, evitando un'aggressione chirurgica a cielo aperto. "Decalage" mediali di 2-3 mm in una TAC 3D, nei pochi casi in cui si è proceduto egualmente all'intervento, visivamente non erano quasi mai nella zona di carico e sario avere una ricostruzione TAC 3D per uno studio completo delle linee di frattura e della dislocazione dei frammenti. La classificazione di Ideberg [2,3] è stata modificata da Goss [4,5], che suddivide le fratture glenoidee in fratture del bordo (Tipo I) e diversi tipi di fratture della cavità articolare glenoidea (dal Tipo II al Tipo VI), alcuni dei quali suddivisi in sottogruppi ( Fig. 1). EpidemiologiaLe fratture della cavità glenoidea (se si esclude quelle marginali anteriori apparentabili per dimensioni ed etiologia alla Bankart ossea tipica delle lussazioni traumatiche anteriori) rappresentano circa il 10% delle fratture scapolari. Le fratture che riguardano la superficie...
IntroduzioneLa frattura prossimale d'omero è un evento frequente nella popolazione generale (seconda solo a frattura di femore e di polso). Le fratture complesse a 4 frammenti rappresentano circa il 2-10% di tutte le fratture prossimali d'omero [1]. Una maggiore attenzione nella gestione delle fratture complesse prossimali d'omero ha portato a numerose innovazioni nelle tecniche chirurgiche e nei mezzi impiegati per il loro trattamento. Una corretta indicazione chirurgica pre-operatoria, e ovviamente un adeguato intervento, garantiscono al paziente un migliore "outcome" funzionale nel tempo. In particolare appare determinante riuscire a conservare quanto più possibile dell'anatomia omerale attraverso un intervento di sintesi accurato al fine di consentire alle procedure riabilitative di svolgere il loro ruolo in modo ottimale. Nel campo dell'osteosintesi possiamo avere riduzione e sintesi con differenti gradi di stabilità immediata e problemi diversi secondo i mezzi di sintesi utilizzati (osteosintesi di minima con fili di Kirschner, placche a stabilità angolare, chiodi bloccati o fissatori esterni). Ciò introduce differenti impostazioni della tempistica e della qualità della rieducazione funzionale. Secondo le indicazioni attuali, nella popolazione anziana con ridotto "bone stock" o nei casi in cui la fissazione interna risulta essere particolarmente difficoltosa, scarsamente efficace a causa della complessità della frattura o addirittura non praticabile, è da preferire in prima istanza il posizionamento di una protesi di spalla. Se la cuffia dei rotatori è ancora valida la scelta iniziale è per una protesi a scivolamento, che può essere stabile e con una solida ricostruzione delle tuberosità e permettere una rieducazione accelerata, oppure di precaria ricostruzione e quindi da trattare con maggiore gradualità. Nella popolazione anziana l'incidenza di rotture croniche di cuffia, insufficienza del controllo muscolare oppure distruzione di una struttura del trochite osteoporotica e mal ricostruibile è molto elevata. Per questa ragione in alcuni casi si ricorre a una protesi inversa anche in frattura recente. La protesi inversa in frattura è argomento ancora dibattuto. A tutt'oggi essa rappresenta una seconda opzione chirurgica dopo fallimento di sintesi chirurgiche precedenti, o la prima opzione in caso di frattura con rottura non riparabile della cuffia dei rotatori [2]. Spesso, nel caso delle fratture dell'estremo prossimale dell'omero, è considerata anche una "scorciatoia" nella rieducazione del paziente, in quanto con una protesi inversa non è necessario attendere due mesi per la consolidazione delle tuberosità prima di eseguire movimenti attivi della spalla, mentre, utilizzando il muscolo deltoide non interessato dalla frattura, i pazienti operati con una protesi inversa possono recuperare una mobilità attiva (limitata ai movimenti con braccia abbassate e basilari della vita quotidiana) sin dalle immediate giornate post-operatorie. Quindi fattori legati alla tecnica adottata e ai suoi limiti per come è stata ...
IntroduzioneIl trattamento delle fratture a 3-4 parti dell'epifisi prossimale dell'omero costituisce un controverso capitolo di traumatologia con molti aspetti diagnostici, classificativi e di trattamento in evoluzione e non ancora completamente risolti. Se consideriamo i dati epidemiologici [1], le fratture tipo C nella classificazione AO e le fratture-lussazione riguardano solo il 6% delle fratture dell'epifisi prossimale dell'omero. Nel gruppo delle fratture a 3-4 parti si concentrano però le maggiori difficoltà tecniche di riduzione e sintesi stabile e la più alta percentuale di complicazioni e insuccessi. Si osserva infatti una quota sempre maggiore di fratture a 4 parti ad alta energia in soggetti giovani (fratture instabili per frammentazione della metafisi e deviazione in varo del massiccio cefalico o fratture-lussazione anteriori o posteriori) e fratture a 3-4 parti su base osteoporotica da caduta accidentale dell'anziano, con frammentazione delle tuberosità al limite delle possibilità di ricostruzione, oppure escavazione della testa omerale da parte della diafisi che rende difficile una riduzione e sintesi stabile. Se si esamina la ormai ampia letteratura in merito, nessuna delle tecniche chirurgiche di sintesi proposte -fili di Kirschner, osteosuture, chiodi bloccati, placche a stabilità angolare -sembra aver ottenuto risultati uniformi e nessuna di esse è generalizzabile a tutte le fratture. Questa rassegna si propone quindi di esaminare le problematiche attuali del trattamento delle fratture a tre-quattro parti prossimali d'omero, in base all'esperienza maturata dagli anni Novanta a oggi presso la II Divisione dell'Istituto Ortopedico G. Pini, nell'ambito della quale sono state trattate annualmente in media circa 50 fratture dell'epifisi prossimale d'omero di diversa gravità, con una elevata incidenza di fratture complesse pluriframmentarie e fratture-lussazione posteriori e anteriori. La diagnostica strumentale e le classificazioniOggi riteniamo che la diagnostica strumentale mediante TAC con ricostruzione 3D abbia migliorato in modo decisivo la nostra capacità di individuare la morfologia delle fratture complesse dell'epifisi prossimale d'omero ( Fig. 1). Questo approccio diagnostico permette di affrontare meglio il problema classificativo della frattura. Per molti anni il dibattito si è svolto attorno a discussioni che motivavano affidabilità o preferenze per una delle classificazioni più note (Neer oppure AO), soprattutto per definire in quali fratture fosse indicata l'osteosintesi e in quali la protesi, in funzione dei rischi relativi alla necrosi cefalica. Attualmente riteniamo che ai fini della pianificazione del trattamento le due classificazioni più utili siano quella di Hertel [2,3] e quella più recente di Edelson [4,5]. La classificazione di Hertel [6] completa l'analisi della frattura con quesiti addizionali: quale porzione di calcar postero-mediale è rimasta unita alla testa omerale? Quanto sono scomposte o frammentate le tuberosità rispetto alla testa omerale? La testa omerale è scompos...
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