The expression “phenomenology of the unconscious” seems to have an undoubted oxymoronic quality. In phenomenology, the concept of a phenomenon is strictly concerned with consciousness and with its transcendental structure. Nevertheless, there exists in phenomenology, and especially from Husserl onwards, a strong sensitivity to the passive, receptive, affective dimension, understood as a dark, confused dimension, not lit up by the intentional ray. On the other hand, the profoundly epistemological character of Husserl’s phenomenology does not seem to allow for an absolute unconscious. Insofar as it is submerged in an abyss, the unconscious is in fact always a “thing” of consciousness. The transformation of phenomenological gnoseology into phenomenological ontology, the profound revisiting of the notion of temporal flow, the emergence of the theme of the impersonal in Merleau-Ponty, and that of otherness in Ricoeur grants us more radical tools with which to sound that “dark depth” from which phenomenology starts out.

No abstract

The aim of the article is to identify, on the basis of the phenomenological and ontological analysis of the experience of pain and the ways in which this experience is expressed in natural language, an ontological modelling of the language of pain and, at the same time, a revision of the traditional version of the McGill questionnaire. The purpose is to provide a different characterisation and an adequate evaluation of the phenomenon of pain, and, consequently, an effective measure of the actual experience of the suffering subject.

In questo saggio sosterrò la tesi stando alla quale la prospettiva di Husserl va nella direzione di un empirismo estremamente sofisticato perché nello stesso tempo radicale ma non riduzionistico. Una forma di empirismo, cioè, che pur mirando a una revisione consistente dell’empirismo classico, non si discosta mai dal suo intento generale. Una delle obiezioni principali che possono essere rivolte a questa lettura è che l’utilizzo della nozione di a priori, più in particolare della nozione di a priori materiale, risulta essere sia storicamente sia teoreticamente contraria a una prospettiva di stampo empirista. Questa obiezione può essere in larga parte ridimensionata una volta compreso come le espressioni “a priori materiale” e “a priori sintetico” (usate con parsimonia dallo stesso Husserl) rimandino in realtà a un significato di a priori – quello fenomenologico - sostanzialmente differente da quello kantiano. Si tratterà quindi di mostrare come tale significato, pur includendo l’idea di una legalità necessaria e apodittica, nel caso della fenomenologia in realtà non solo non contraddica bensì confermi una prospettiva radicalmente empirista. Tale prospettiva sembra essere in qualche misura già racchiusa nelle due domande che la fenomenologia considera fondamentali. La prima domanda è che cosa è dato? La seconda domanda è che cosa è effettivamente contenuto nel dato?